IO ALLA FINE NON SO COSA SIA UNA BELLA FOTO.SO SOLO CHE VEDO COSE E LE DEVO FERMARE.E CHE A VOLTE HO QUALCOSA DA DIRE.ALTRE VOLTE, NO.


30.3.13


Così, quasi per caso ti ritrovo. 
Come la chiave della cassetta della posta. Che si perde sempre. Poi la ritrovi e ti dici, uau, così non mi trituro più l'indice e il medio mentre cerco di recuperare le bollette attraverso la fessura. Ma recuperare le bollette attraverso la fessura lo fai lo stesso. Non è un grosso problema. E' solo un po' un fastidio. Però, insomma, se la chiave la trovi, tanto meglio. 
 Io ti ho ritrovato così per caso. Pensavo di non poter fare a meno di quella chiave. L'ho cercata chissà quanto. 
Testardamente. 
Disperatamente. 
 In un modo che non mi apparteneva davvero. In quei giorni di frenetica ricerca non mi riconoscevo. Girava la testa. Costole di vetro e sotto il vuoto. Il nulla. Nero. Vuoto e spugnoso. Apri la bocca per respirare e niente. Un blocco di marmo. 
Questo mi hai fatto. 
Così mi hai ridotta. 
Tu. 
Mi hai fatto male più di qualsiasi altra persona al mondo. Eri la mia dipendenza. E tu la dose me la negavi cinicamente se in quel momento non ti andava di farlo perchè avevi giochi migliori tra le mani. 
Sei stato spietato. 
 E per questo ti ho voluto. 
Perchè tale crudeltà mi ha fatto sentire viva quando ero morta. 
Mi hai donato la vita. 
Me l'hai fatta assaporare. Calda e salata giù per la gola.
 E poi me l'hai tolta. Così. 
 E mi hai relegato fuori dalle mura. Nella Geenna. Tra ossa di capra e di cane. A morire di sete. 
 Derisa e umiliata. 
 "Guardala come si è ridotta..." 
 E te ne sei andato via verso il prossimo diversivo usa e getta. 
 Usa e getta come gli abbracci che elargivi. 
 Mi hai abbandonata tra gemiti di dolore e blister di pasticche e benzodiazepine e alcool e mattonelle del bagno e vomito e dita puntate e sguardi nel vuoto e fissare la lavatrice seduta per terra e illeggibili occhi bui. Fine dei giochi.
 Game over. 
Peccato tu ti sia strategicamente dimenticato di farla passare in sovrimpressione la scritta. 
 Ma poi. 
 Poi. 
 Incredibilmente. 
Qualcuno ti fa sorridere. 
 Prima un pochino. Timidamente. Non è possibile ti dici. 
Poi non puoi fare a meno di sorridere sempre più. E poi boh. Me lo riprendo anche quel cuore lì in terra. 
 E me lo tengo qui. Che poi. Boh. Se. Forse. Ma non. Insomma. E' qui. 
 E così, quella chiave della posta l'ho ritrovata. 
Ma non mi serve. 
 Non mi serve proprio per niente. 
 Anzi mi dà fastidio. Dover tornare in casa solo per quella anche no. Vialetto lungo. Shaky ci ha fatto pure i bisogni. 
Non mi serve. 
Non la voglio. 
Ma che si perda. 
Ma che scompaia. 
 Io non la voglio più vedere. Riesco a prendere quel che mi serve anche senza. Anzi. Trovo di molto meglio. Molto meglio. 
 Cose che tu non sai nemmeno cosa siano. 
 Nemmeno potresti mai essere. 
 Cose che non t'immagini nemmeno. 
 A mai più. 
E niente auguri a te. 
Bastardo.
"Noi due, il cane, e l'universo." - Marina Abramovic

29.3.13

Non capita spesso di poter trovare una baia tranquilla nella quale poter rannichiarsi un'attimo e riposare. 
Una baia dove l'eco non torna indietro carico del peso di mille urla sorde cariche di nulla. 
Una baia dove i raggi del sole arrivano alla giusta angolazione. 
Caldi come un'abbraccio avvolgente, che stringe dolcemente e non costringe. 
Un'abbraccio dove i polmoni si espandono e si restringono con lo stesso ritmo delle oscillazioni di cavallucci marini cavalcati da sirene bambine. 
Uno dove il cuore batte e frulla nel petto come le ali dei gabbiani sulla tua testa. 
 Uno dove i pensieri fluiscono lenti, densi, e liberi come il pulsare elettrico di meduse iridate come libellule. Uno dove la voce dietro all'orecchio che ti sussurra che non ce la farai che nessuno capirà è zittita e tappata da alghe verdi smeraldo. 
 Smeraldo come la terra di Oz. 
La terra che tu sogni di poter vedere almeno una volta ogni tanto. 
Una dove i leoni non mordono. Dove quei bastardi che ti fanno soffrire col loro cuore di latta in realtà un giorno chiederanno scusa. Una dove gli uomini senza cervello non esistono, ma si fanno domande, provano a darsi risposte sincere e tentano di comprendere quel che vuoi dire senza spaventarsi. 
Una baia del genere, con un Sole così esiste. 
 E' rara, e non si vede, ma esiste. 
Devi attraversare tante scogliere per arrivarci. 
 Devi scivolare e tagliarti. 
Esiste. 
 Non perchè te l'hanno detto. 
Non perchè l'hai letto da qualche parte. 
Esiste perchè lo senti. 
Perchè tu sai che in qualche modo, chissà quando, alla fine, nonostante tutto ci arriverai. 
Perchè forse ci sei già stata. 
 Ma non lo ricordi. 
Ricordi solo che sorridevi. 
Io sorridevo.


28.3.13

Eccola. 
Sale su dallo stomaco. 
 Con le sue zampette di lucertola. 
 Su per l'esofago. 
Veloce con i suoi piccoli artigli ha facile presa. 
Tappa la gola. 
 Non respiro. 
Amaro in bocca. 
 Eccolo il conato di delusione. 
 Una spinta fortissima. 
Muscoli del ventre in tensione. 
E' come espellere una palla di cannone.
 Fuori. Fuori da me. 
Viscida e squamosa. 
Bruciano gli occhi. 
Non vedo più. 
Solo lacrime. 
Sempre e solo quelle. 
E le mani sporche di mascara e pezzi mezzi vivi di me. 
Impastate delle mie stesse ceneri sconfitte.

 

26.3.13

Non sono ferma.
Non proprio.
Sono in piedi. Ma ciondolo. Traballo.
Faccio due passi incerti. Poi prendo la rincorsa e ne faccio due o tre più sicuri.
Poi però inciampo. Cado. Prendo fiato. La gente intorno mi urta passando.
A fatica mi rialzo. E ciondolo di nuovo. E traballo di nuovo. E ricomincio il mio cammino incerto.
Verso cosa non riesco ancora a capirlo.
A tratti mi sembra di dirigermi verso una forma di equilibrio. Ma la sensazione è sempre precaria.
La catena invisibile legata alla caviglia torna a tirare.
Questa non è libertà vera.
E' avere un certo raggio d'azione, a volte più ampio a volte più limitato.
Posso anche prendere la rincorsa, ma inevitabilmente la catena arriverà al punto massimo di tensione.
E lo strattone all'indietro sarà forte.
Sobbalzerò.
Forse mi slogherò la caviglia. Non sarebbe la prima volta.
Singhiozzerò lì per terra perchè un'osso rotto fa male, ma il cuore spezzato ancora di più.
E un gesso per quello non esiste. E piangerò. E forse qualcuno passando mi accarezzerà i capelli per tirarmi su. Ma io glielo lascerò fare?
E così sto lì seduta ancora un pochino. Prendo un respiro profondo, raccolgo le forze e mi rialzo.
Verso dove?
E quanto lunga sarà la catena stavolta?
E lo strattone stavolta sarà così forte da spezzarmi anche il femore?
Ma soprattutto, l'energia della mia corsa disperata spezzerà anche la catena invisibile stavolta?
Lui può mettermi davanti tutti i meravigliosi ostacoli che vuole.
Tutte le fantastiche distrazioni che vuole.
Ma se decido di spostare il gancio della catena dalla caviglia al cuore, forse la catena potrei tranciarla di netto.
Con la sola forza delle lacrime che hanno già scorso il mio viso mille volte.
Con la sola forza della disperazione di mille addii. E di braccia vuote. Le mie braccia vuote.
Non sto ferma.
 Non sono ferma.


25.3.13

Non ho mai chiesto molto. 
Da piccola passavamo davanti alla vetrina del negozio di giocattoli e io guardavo in silenzio. 
Non chiedevo mai niente, anche se lì, proprio lì davanti a me c'era la Barbie che mi piaceva tanto. 
I miei mi dovevano portare dentro e forzarmi a scegliere qualcosa. Mi sembrava già allora di non meritarmi regali che non ero una bimba brava. Non riuscivo a far smettere i miei di litigare. Se non ci fossi stata forse non sarebbero stati nemmeno lì a litigare mi dicevo. 

Poi sono cresciuta. 
E ho continuato ad osservare senza mai prendere. 

"Sere voglio regalarti qualcosa di meraviglioso cosa vorresti?" "Io? Niente. Un libro forse." 

"Sere, vuoi solo birra e patatine? Costi poco." 

"Sere, voglio regalarti un diamante. Scegli quello che vuoi." "Io? Per me? Ma non serve!" 
"Certo che non serve. Te lo meriti e basta. Scegli." 
"Ok..." 

Ho continuato a non chiedere nulla. 
Neanche le attenzioni e il tempo di nessuno. Mi accontentavo di quello che mi veniva elargito. Mi accontentavo delle briciole perchè erano briciole meravigliose mi dicevo e vale la pena aspettare qui al freddo a stomaco vuoto se poi ottengo questo. Poi mi sono stancata. 
L'anoressia emotiva sfibra tanto quanto quella fisica. 
Ho iniziato a chiedere. 
E a non ottenere. Una Serena con richieste non va bene. Dà solo noia. Va allontanata. 
L'unica volta in cui ho chiesto qualcosa la reazione è stata violentemente negativa. Aggressivamente immediata. 
Io tanto stupita quanto scioccata ho cercato di incassare. 

Non mi va di chiedere niente. 
Eppure costo davvero poco. 
Non mi interessano le cose. Le macchine. I vestiti. Le scarpe. Le borse. Le unghie. I telefoni. Il computer. 
Mi interessano solo il tempo e le parole o i silenzi che lo riempono. 
Mi interessano solo gli sguardi di serenità e tranquillità tra due persone che si comprendono. 
Mi interessano solo le risate che fanno venire il mal di pancia. Mi interessano solo le lacrime per la gioia di aver visto o sentito qualcosa o per la disperazione di aver perso qualcosa o di aver bruciato qualcosa. 
Mi interessano solo abbracci dai quali non riesci ad allontanarti. 
Mi interessa solo la vertigine persa negli occhi di qualcuno di speciale. 
Mi interessa solo la prossima volta in cui ci fraintenderemo e ridendo ci ricapiremo.
Mi interessa solo la prossima foto in bianco e nero che farò. 
Mi interessa solo la prossima canzone che ascolterò. 
Mi interessa solo la prossima volta che lei riderà di pancia. 
Mi interessa solo la prossima volta che lei mi dirà "ti voglio bene mamma". 
E basta. 
Non costo poi molto. 
Non ho mai chiesto molto.



17.3.13

Bhe, io sono ancora qui. 
Persa. 
Poi quasi ritrovata. 
E' strano quanto io sia cambiata dalla pubblicazione dell'ultima foto lì sotto. 
Il nonno se n'è andato a Ottobre. Il mese in cui era nato. 
Ha lasciato le pantofole sulla porta e il verderame in giardino, lì sotto alla pianta di kiwi. Kiwi che nessuno ha raccolto. Nessuno li ha messi nelle cassette a maturare come faceva lui. Il nonno Sirio. 
La nonna, è dimagrita. E' la metà di quella donna lì svogliatamente sdraiata. E non sa più chi sono. Eppure mi ha quasi cresciuta lei che mia madre era una ragazzina quando sono nata io. Non sa più chi sia quella bimba bionda in mezzo ai miei nonni lì sotto. 
Quella bimba che forse un po' bimba in un certo senso non è più. A 8 anni ha perso il bisnonno. Che le faceva i dispetti e le faceva miagolare il gatto. E ha perso la nonna. Eppure non è morta. Si è "solo" svuotata. E questo una bimba non può capirlo. 

E io non sono più la stessa. 
Lui non c'è più. 
Loro non ci sono più.  
Tanta gente non c'è più. Ne è subentrata altra. 
E io ferma lì in mezzo, guardo. 
Cerco di vedere, non solo guardare, intorno a me e dentro me. 
Ma quando lo faccio mi spavento. 
Si appanna tutto. 
Saranno le lacrime. 
Fumo negli occhi. 
Nebbia. 
Però che belli quei fuochi fatui. 
Anche se sotto nascondono una voragine. 
Ma che paura vuoi che faccia a me una voragine nera quando io ne porto una dentro da tutta la vita?